lunedì 20 ottobre 2014

Il critico

Mi piace partire dagli aforismi. Sono diretti, divertenti e spesso ci azzeccano.
Come quando Brendan Behan, un avvinazzato patriottico drammaturgo irlandese degli anni '40, scriveva:

I critici sono come gli eunuchi di un harem: sanno come si fa, lo vedono fare tutti i giorni, però non sono capaci di farlo.

Il mestiere del critico è senz'altro difficile, ma sono convinto che generalizzare sia sbagliato. Lo dico in apertura perché non vorrei che questo pezzo diventasse un j'accuse nei confronti di quella categoria in cui peraltro, spesso, mi sarebbe piaciuto entrare a far parte. Ritengo che per i critici, in particolare quelli cinematografici e musicali, sia un po' come per i vigili urbani. Ci sono quelli che sono fondamentalmente frustrati, e quelli che invece credono nella missione. E la missione, si badi bene, non è per forza fare le multe. Cioè, mi spiego. La multa, così come la stroncatura di un critico, è l'apice di un giudizio negativo con cui il critico (o lo sbirro) determinano una situazione. Ma la missione è qualcosa di diverso. E' la spinta emotiva e personalissima, di scoprire, capire, e soltanto infine valutare. E', cioè, la volontà di muoversi all'interno di un contesto, farne parte, e al tempo stesso giudicarlo esternamente.

Per restare sul paragone, significa che il vigile urbano dovrebbe vigilare, e quindi istruire alle regole, educare il cittadino, col fine ultimo (un po' idealizzato) di contribuire a creare una società migliore. Lo stesso discorso dovrebbe valere per il critico, che ha il compito non di multare le opere scadenti, ma di vigilare, se vogliamo, sulla buona arte, educare il cittadino a comprendere un'opera, e perché no, contribuire a creare una società più sensibile. Purtroppo non sempre è così, per varie cause che abbracciano anche (e soprattutto) fattori economici che inevitabilmente sviliscono la purezza della mission lavorativa. Nel senso che i verdoni determinano l'arte nelle possibilità di creazione dell'opera, mentre penso non dovrebbero influenzarla nella sua valutazione a posteriori. Mi spiego con un esempio. Un cortometraggio che ha un budget di partenza di 100mila euro, fornisce al regista una gamma di scelte anche stilistiche molto più ampia, di chi si ritrova la domenica pomeriggio a intrecciare fil di ferro e cartapesta per realizzare il modellino di una blatta gigante. Il risultato sarà diverso, ma l'arte, fortunatamente, prescinde dal mero valore estetico, e deve gran parte della sua riuscita alle emozioni che lo spettatore prova nell'osservare l'opera. Da qui, una blatta in cartapesta potrà suscitare più paura di un bellissimo effetto 3d, se il primo è usato bene e il secondo no. Ma il problema dei soldi investe la critica perché quando i due film in questione verranno presentati, quello con il budget potrà permettersi di servire e riverire il critico di turno, mentre il secondo no. E questo, negarlo sarebbe meschino, fa la differenza, anche perché tutti dobbiamo mangiare.
Ma la mia riflessione non vuole arrivare a questo. Non mi interessa. Non sogno un mondo dove i critici non vengano pagati, e nemmeno penso che il miglior critico sia il pubblico, anche se spesso è così.

Quello che mi preme, invece, è che nel paragone tra vigilante e critico d'arte c'è una differenza sostanziale. Perché il primo, male che vada, potrà farvi perdere 30 80 anche 200 euro, ma difficilmente vi colpirà nel profondo. Perché a differenza del critico, il vigile non ha a che fare con le vostre passioni, i vostri sogni, ma soltanto con le vostre azioni. Il critico invece ha un potere enorme. Una sorta di giudice delle più pure intenzioni. Con un colpo di penna, ha la responsabilità di comunicare ai suoi lettori che quell'opera ha valore o meno, spesso senza conoscere l'autore, né scavando dentro le ragioni di talune scelte. Insomma, all'imperatore nel Colosseo, non importava se il gladiatore era sposato, se amava il mare, o se l'odore del sangue gli faceva venire il prurito. Decideva semplicemente se il pollice doveva andare su o giù. E questa, cari miei, non è critica, è condanna.
Ma non voglio passare per uno di quei panteisti del virtuosismo che considerano bella qualsiasi merda spacciata per "arte". Non tutti ce l'hanno nel sangue, quella scintilla. Poi c'è chi ce l'ha e non la persegue, e infine chi non ce l'ha per niente. E troppo spesso i critici sono artisti mancati.
Fortunatamente, essi non sono onnipotenti, e la storia ha detto spesso che chi ha spezzato certe regole e dogmi, ha creato nuove correnti, nuove idee e nuova linfa, laddove invece il vecchio si sarebbe accartocciato su se stesso. Ed è proprio qui, secondo il mio modesto parere, la differenza tra un critico scarso e un critico buono. Il primo è colui che ottusamente si rifarà a canoni e stilemi preesistenti, che si muoverà solo per soldi, che valuterà un'opera senza averla vista o ascoltata almeno tre volte, che non penserà ai suoi lettori e al potere che in qualche modo detiene. Il secondo sarà colui che oltre a tutto questo, si renderà conto che a volte bisogna rischiare. Che a volte la verità sta nelle cose piccole. E che il valore del loro lavoro è più grande se votato alla promozione del Bello piuttosto che alla distruzione del Brutto.
E infine, tanto vale che riporti un'altra citazione, visto che racchiude esattamente ciò che penso.

Per molti versi la professione del critico è facile: rischiamo molto poco, pur approfittando del grande potere che abbiamo su coloro che sottopongono il proprio lavoro al nostro giudizio; prosperiamo grazie alle recensioni negative, che sono uno spasso da scrivere e da leggere. Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle cose, anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale. Ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero. Ad esempio, nello scoprire e difendere il nuovo. Il mondo è spesso avverso ai nuovi talenti e alle nuove creazioni: al nuovo servono sostenitori!

Se vi aspettate Aristotele, De Sanctis o magari un drammaturgo ubriacone irlandese vi sbagliate. Si tratta di Ego, personaggio del cartone animato, Ratatouille, 2007, regia e sceneggiatura di Brad Bird.